Ritratto di Lorenza Meletti

Lorenza Meletti

COLORI

Sulla distesa scura del tavolo
un angolo di bianco senza fronzoli
ancora profumato
d’erba di sangiovanni. Nell’azzurro
alone di una boccia d’opalina
gli sposi vecchi cenano vicini.
Due figurine fragili d’avorio
fra un dorato splendore di polenta
e il rosso delle mele.


Malinconia, ... dialoghi con i morti più cari, sono i temi della poesia di Lorenza... il ritornare dolcemente ossessivo degli stessi motivi, il ritmo lentissimo... la coincidenza perfetta tra temi, timbro e ritmo; che è virtù rara, e propria della poesia vera (il modello ineguagliato rimane, come è ovvio, il Petrarca).
Geno Pampaloni
(prefazione a “ Mutatur” – 1990)

LUCIA

Mia nonna andava dietro le altre vecchie
per la cenere della penitenza:
canti di chiesa dentro scialli neri,
lievi mani di bosso,
chiari occhi stanchi e passo ancora fiero.


NONNA

Nascevano sulla tua bocca favole
come da un vecchio tronco inaspettati
fiori nuovi; io in te capivo il tempo
e perché in principio fosse il verbo
come diceva il prete dall’altare.
Tu per me eri la croce sul pane
le briciole serbate per i passeri
le preghiere in dialetto, il tintinnío
veloce dei ferri da calza, lo scialle
nero fino ai ginocchi, e quella mano
fine e sciupata che spesso tradiva
l’imbarazzo di indulgere a carezze.


LUCIA

I
Andava assorta col suo passo fluido
– perfino un poco altero – alla novena
dell’Avvento. Chiudeva nello scialle
nero odore di geli e soffi timidi
di canto gregoriano – non aveva
mai preso confidenza col latino –
e muoveva in esatti antichi gesti,
lievemente come albero le foglie,
mani sottili di bosso...

II
Avevano i tuoi occhi da gran tempo
il colore dei tramonti a dicembre
e vedevano chissà quali spazi
oltre la mia presenza. La tua bocca
chissà da quanto persuasa al silenzio
solo a volte tremava, indecifrabile
sorriso. Può la pioggia
cadendo su residui di linfa
regalare ad un albero già arso
l’illusione d’avere altre stagioni?

III
Le mani lievi erano esauste – tutta
inutile la forza delle mie
in vista del confine – solo un palpito
d’ali ferite sotto le carezze
tra sonno e sonno o sul rosario. Docile
si affidava alle tenebre. Negli occhi
già larghi d’ombra appena uno stupore
insondabile e come una parvenza
di sorriso: era tutto troppo facile.


...
C’è una poesia (la III di quelle dedicate a Lucia) misteriosa e probabilmente la più bella. La donna anziana si spegne lentamente (docile / si affidava alle tenebre): “Negli occhi / già larghi d’ombra appena uno stupore / insondabile e come una parvenza / di sorriso: era tutto troppo facile.” / La “facilità” della morte è qui un sentimento cristiano reso lieve da una misteriosa dolcezza.
Geno Pampaloni
(prefazione a “ Mutatur” – 1990)
 
Lorenza Meletti è nata in un paese fra il Panaro
e il Po, si è laureata in Lettere Classiche a Bologna...
ha collaborato a giornali e riviste e su alcune
di queste ha pubblicato versi. Ha partecipato
a concorsi di poesia e qualcuno lo ha perfino vinto...
Lorenza si presenta così nel risvolto di copertina del suo “Paesaggio con figure”, senza troppe notizie su di sé, giusto l’essenziale con un pizzico di ironia.
A chi volesse saperne appena un po’ di più diremo che è nata a Bondeno, nella provincia di Ferrara, durante il secondo conflitto mondiale. Pur trasferendosi altrove per motivi legati al suo lavoro di insegnante non si è mai staccata definitivamente dal paese natale, né fisicamente, né sentimentalmente.
 
 

IL PAESAGGIO

III
Quando si nasce in riva a un fiume l’acqua
dovunque andiamo dentro ci seconda,
sepolto in noi resta un colore d’argine
ed un torpore triste – respirato
in tanto salire di nebbie – al riparo
di voci acuminate.
Perfino nelle sciarpe dell’inverno
ci ripetiamo il grigio delle brume
nostre bambine, culle di paure.
I padri ci tenevano con mano
forte per insegnarci a diffidare
della quiete ingannevole, ma noi
già sognavamo Ulisse che sapeva
segni di stelle e guardavamo il cielo...
Quando si nasce in riva a un fiume l’acqua
non ti seduce mai del tutto, troppe
orme cancella di rivalsa, e l’argine
ha le sue mansuete voci di sirene.


Scrive di lei Vittorio Sgarbi:
«La gente del Po sa convivere con la morte. Non penso tanto agli avvenimenti recenti, ma penso al senso di una intera civiltà che dura da millenni. Il fiume è vita, ricchezza, memoria, ma anche tragedia improvvisa, dolore e morte. Non c’è conflitto, non c’è contraddizione tra queste due nature apparentemente antitetiche. Il fiume è il tempo che ci precede: ci vede nascere e accompagna la nostra esistenza, continua imperterrito a scorrere dopo la nostra morte. Il fiume è il ricordo di ciò che ci ha preceduto, della nostra infanzia, della nostra fantasia e dei nostri incubi. Il fiume è un luogo della mente nel quale convive una magica comunità di vivi e di morti, non statica e spettrale, ma attiva e fedele custode delle proprie tradizioni e delle piccole abitudini. “Quando si nasce in riva a un fiume l’acqua / ovunque andiamo dentro ci seconda, ...”. È questo il mondo, l’universo intimo racchiuso nei confini di una stanza della poetessa ferrarese Lorenza Meletti, autrice di una struggente raccolta di liriche intitolata significativamente “Paesaggio con figure”.»

I
... e si congeda un altro giorno assorto
dilatando il respiro oltre la
periferia. Dall’argine non vedo
ormai più grigio d’acque ma solo
la stilizzata e stinta prospettiva
delle foglie che tremano e s’arrendono
alla custodia della notte.


II
L’acqua muore di luce
al mio fiume che corre nel silenzio
e il vento finge scogli con le nuvole.
Mentre vado rivolto mentalmente
una clessidra e ridico preghiere
disarmate a nessuno, o forse al Cristo
scalzo dei Vangeli, che mi lasci
un dono d’ironia per questo teso
e faticoso vivere alta e sola...

Con gli ultimi versi di questa poesia lo scrittore Roberto Pazzi apre e chiude la prefazione a “Paesaggio con figure“.
Non a caso.
Lo scrittore conosceva Lorenza e più volte ha voluto ricordarla, anche pubblicamente, non tralasciando mai di sottolinearne la dignità del “vivere alta e sola”. «... così Lorenza Meletti in una delle liriche di questo suo libro di versi definisce implicitamente la sua scrittura come remunerazione della fatica di vivere, solitudine “alta”.
Nulla turba l’adesione a questa nozione della poesia...
L’ironia, l’avvertimento del contrario, la solipsistica dimensione dello straniamento e dell’assenza di chi è fuori del gioco e guarda il gioco, sono alcune delle cariche da cui è accesa questa poesia così colorita dal paesaggio padano, attraversata dal fiume reale, il Po, e dal suo umile affluente: “L’acqua muore di luce / al mio fiume che corre nel silenzio”. Il fiume, metafora antica del Tempo, percorre davvero questo Paesaggio con figure costituendo un riferimento sicuro nella perenne vicenda di nascita e morte delle effimere figure dei vivi che popolano le sue sponde.»

“Alte torri, lunghi fiumi” scrive Garçia Lorca.
Lorenza amava questi versi che racchiudono in sé l’infinito del Cielo, della Terra, dello Spirito, del Tempo.
Mi piace pensare (da lettore) che anche questi suoi versi racchiudano l’infinito nella metafora del fiume e delle nuvole dove orizzontalità e verticalità si uniscono al tempo che scorre nell’acqua, come nel vento e che una clessidra può appena frammentare.
Mi piace pensare che questi versi, ove una preghiera viene rivolta al Cristo scalzo dei Vangeli, racchiudano una spiritualità ancestrale che recupera la semplicità, la verità, la sobrietà di una Promessa antica vissuta intensamente.

 

FIGURE

VECCHI

Lunghe mute domeniche
passate sulle panche del giardino
pubblico come ospiti a disagio
o in piedi sul cancello dell'ospizio
come chi aspetta un treno alla stazione.
Nei giorni di mercato si trascinano
in scarpe larghe un banco dopo l'altro
fra cose che non guardano nemmeno
Già di settembre infreddoliti mettono
le sciarpe e i guanti fatti in casa e vanno
a sedersi in disparte all'osteria
per smarrirsi in un loro smemorato
fantasticare col bicchiere pieno
Forse la bocca ha intento di parole
ma è solo un nero squarcio sulla pena
del logoro respiro.
La casa dove abitava Lorenza era al centro della piazza principale del paese e dalle finestre si poteva vedere tutto lo scorrere della vita del luogo, si potevano osservare le persone, il loro affaccendarsi quotidiano, il loro essere. Come a teatro. Ed ecco che la piazza si trasforma in un grande palcoscenico e quelle persone cominciano a prendere la consistenza di personaggi quali diverranno più avanti anche nel suo romanzo che è appunto narrazione di persone più che di fatti. In alcune poesie si trovano ritratti particolarissimi sempre rivolti non a protagonisti, anzi diremmo oggi ad antieroi, nei quali però ella riesce a cogliere una umanità non comune, intrisa di sofferenza silenziosa, accettata, che non reclama riscatto "Vecchi" osservati con vera com-passione in quel loro lento trascinarsi nella vita che resta.
 

LA PAZZA

Non disturba nessuno: passa i giorni
seduta su una panca del giardino
pubblico e veste o culla una sua bambola.
Attorno al collo vizzo porta un giro
di corallini falsi, appena un poco
più rossi dei pomelli pitturati
sugli zigomi, ha i capelli tinti
soltanto a mezzo, "perché dietro - dice -
non io mi vedo vecchia". Verso sera
beve al bar un caffè con garbo e sempre
ne domanda due tazze sottovoce
"perché anche oggi - dice - ho compagnia".
Segue dall'angolo i giochi di carte
con borbottio basso e remoto, quasi
maga clemente, e quando vede fuori
farsi più buio, adagio s'incammina
forse all'ora più sua, lungo le strade
più quiete, in cerca d'oggetti perduti
piccoli e senza valore, frammenti
di vita da riempirne il suo silenzio ...
A lungo spia dalle finestre i visi
delle famiglie a cena, poi ritorna
(e non s'è mai saputo verso dove)
con la bambola sempre sotto il braccio
carezzando le porte una per una.
"La pazza" quasi un corto cinematografico. Una donna di mezza età, si aggirava, senza una meta conosciuta, per le vie del paese, parlando da sola, uscita dal nulla, per sparire nel nulla. Si chiamava Luisella, ma il suo nome veniva pronunciato in dialetto con una elle sola, perdendo immediatamente quel tanto di grazioso che il vezzeggiativo possedeva per trasformarsi in appellativo plebeo, mentre il tono discendente finale dava ancor più l'idea della bassa considerazione in cui la donna era tenuta. No, non così è per Lorenza.
 

IL BARBONE

I miei vecchi gli aprivano la porta
(anche il diverso viene dal Signore)
la fiamma rischiarava le pareti
le pentole di rame e le sue storie.
Ignota anche a me stessa non capivo
i chiari e crudi segni come di
ferite nella fronte e sulle mani
che riscaldava strette a una scodella...


Anche il "Barbone" è persona reale che tutti possono riconoscere percorrendo a ritroso il tempo. Sembra che fosse stato ferito gravemente durante la guerra e che ne riportasse i segni non solo esteriori.

"delicatissimi motivi popolari si uniscono ai ritratti di persone ... nell'esprimere in versi densi come la vita la delicata trama, soprattutto degli umili, perché sopravvivesse."

Antonio Piromalli
"Ricordo di Lorenza Meletti"
da "RINASCITA SUD" - N° 4 - Ago-Sett 1996
 

 
Lorenza Meletti
Appena un passacuore
Romanzo

Book Editore
A lato è riportata l'immagine del romanzo scritto da Lorenza e pubblicato postumo dalla Book Editore nel Gennaio del 1996.
In copertina:
"Momenti sul grande fiume"
Fotografia di Fabrizio Resca

Che cosa è la vita per Garcia Lorca: "Alte torri / lunghi fiumi": la verticale e l'orizzontale, il femminile e il maschile, il tempo e lo spazio, la storia e la natura:
Chi può saperlo meglio di noi che queste linee le abbiamo nel cuore da sempre, per di più con l'aggiunta di piazza e piazzetta?
Forse i depliant turistici non parlano di Bondeno, nemmeno se c'è la torre di Matilde, (che è così bella) nemmeno se (pare) c'è passato Garibaldi, ma io credo che il viaggiatore avrebbe qualche vantaggio nel fermarsi qualche giorno, solo per vedere un angolo di mondo che resiste allo snaturamento totale facendo convivere armoniosamente vecchio e nuovo. Vecchio, certo, perché un paese che sia un "vero" paese, non può che essere antico con la sua storia di fatiche e di lotte, ma anche di solidarietà e creatività.
Strano questo paese: afa d'estate e nebbia d'inverno, ugualmente pesanti e soffocanti, danno entrambe la smania di scappare, per non intorpidirsi. Ma ecco che da lontano comincia a rimescolartisi dentro, e non ti lascia più.
Non è letteratura, ma tragedia nel suo senso antico: dissidio fra inconciliabili, impossibilità di soluzioni indolori.
"Quando si nasce in riva a un fiume l'acqua / ovunque andiamo dentro ci seconda..." scrivevo anni fa, e sinceramente niente di quel niente che sono sarebbe stato senza quella certa ansa di fiume che racchiude quella piazza, così nostra, vasta, bella... degna di una città.
"Forse i paesi neppure più esistono / se non nei nostri affetti ombrosi..." anche questo scrivevo, altrettanto sinceramente; eppure...
Eppure basta qua e là un vicolo, uno slargo, un cortile, un bucato steso, un vociare: ed è subito paese, grazie a Dio.
Certo bisogna avere la pazienza di grattare via certe vernici, certe "modernità" che ne hanno all'apparenza cancellato ogni diversità: Eppure...
Eppure questo è ancora un luogo dove se cadi per la strada, se sei in difficoltà, se un bambino piange, se due litigano trovi subito un soccorritore, un consolatore, un giudice.
Chi dice paese forse intende un mondo piccolo, angusto dove la privacy non esiste, dove è ancora divertimento la partita al bar ed anche la Messa alla domenica (non voglio essere blasfema, ma è davvero un piacere quel ritrovarsi, quel riconoscersi, quel percorrere insieme), dove è ancora distrazione il mercato del Martedì o la festa del cordiale e solare Santo Patrono che saluta il raccolto e l'inizio dell'estate o il "Fierone" di Ottobre che consola dal raggiungimento del vicino inverno...
Chi dice paese deve anche intendere un mondo dove i mali di oggi vivono aspetti più smorzati, , meno frenesia, meno pessimismo, meno nevrosi... Già, pare che qui le tensioni, le trasgressioni, le lacerazioni, le mode... tutto sterzi in direzione del buon senso. E nessuno può negare che sia un bene! Anzi, che sia questo, semplicemente il tanto indagato "vivere a misura d' uomo"?
Mondo piccolo? ma qui si trova ancora tutto e sotto casa. Qui si trovano ancora artigiani che hanno un soffio di vita nelle mani (basta guardare certe porte in legno o il cosiddetto" ragno" sopra le stesse, in ferro, battuto a mano, per capirci), qui si può discutere d'arte antica entrando in cartoleria, di storia locale con... (lo sapete con chi), o sentir declamare i versi di Dante da un grande appassionato, proprio nella tipografia di mio padre. Qui si può vedere un grande pittore che va in bicicletta con i pennelli in tasca e magari qualche sacrosanta macchia di vernice sulla camicia, senza essere guardato se non con ammirata indulgenza. Qui la cultura è diletto.
Qui ci si tratta con il "tu", quello vero, quello della conoscenza, della consuetudine, dell'appartenenza. Qui la "gente" è fatta di persone. Qui le persone si parlano, qui ci si informa: come stai, cosa fai...? Chi muore qui è vivo fino alla fine. E forse anche dopo.
Ma il senso di un paese lo può dire solo chi è scappato...
e di lontano, anche se poco lontano, si trova a ripetere con Catullo quella tal frase di amaro amore:
"Nec possum tecum vivere, nec sine te".
In quanti luoghi si può con convinzione dire a se stessi "essere a casa"?

Campanile Matildeo (Duomo di Bondeno)
E la torre è sempre là, alta, a rassicurarci:
"nello scorrere e morire di ogni cosa (ah, Eraclito!) c'è anche ciò che non passa".

Queste righe ho trovato tra le carte di Lorenza scritte su foglietti, come appunti fermati di getto, senza ripensamenti, maturati evidentemente da tempo dentro di lei, come era solita fare.
Li ho riportati volentieri, soprattutto perché Bondeno ha voluto generosamente farle omaggio del suo ricordo e quindi del suo affetto che, come si può vedere, era del tutto ricambiato.

Queste potrebbero a buon diritto costituire il prologo al romanzo che Lorenza meditò per lungo tempo, ma che mise sulla carta solo poco prima della sua scomparsa, tanto che venne pubblicato postumo con il Patrocinio del Comune di Bondeno - Assessorato alla cultura e Associazione Bondeno Cultura , nel primo anniversario della sua morte.


In occasione della presentazione, scrive Claudia Fortini sul "Resto del Carlino" del 28 gennaio 1996:
[...] "Appena un passacuore" è il titolo del romanzo che verrà presentato domani sera da Ettore Campi, Roberto Pazzi e Daniele Biancardi alla presenza di tanti amici che hanno condiviso con l'autrice... momenti di struggente sensibilità. "Appena un passacuore" appare ora come il più incredibile degli abbracci che la scrittrice ha voluto regalare a questo angolo di mondo...


É vero. Protagonista del romanzo è il paese in quel suo essere "hortus conclusus" che raccoglie la metafora del mondo. Saverio ne è il narratore, il portatore di memoria che non si arrende al mutare del tempo. Lorenza ne diviene la voce capace di trasfigurarne i ricordi, i personaggi, gli avvenimenti, attraverso fantasia e poesia.
Saverio è un vecchio ottantenne che, un attimo prima di consegnarsi alla Morte, vede scorrere davanti a sé in un breve istante tutta la sua vita ed, insieme a questa, tutte le persone che l'hanno intersecata. Ma è evidentemente un espediente letterario per poter riscattare dal buio tante vite, tanta povertà e miseria che non avevano intaccato la voglia di essere, comunque, vivi.
Scrive Roberto Pazzi nella prefazione al romanzo:
"Saverio è solo, nella vasta casa piena di ricordi, dove si aggirano le presenze dei morti e quelle dei vivi, ugualmente distanti... l'amicalità è evocata; è forse la nota dominante e più tenera di questo romanzo...
Una volta i nostri paesi erano i luoghi dove i momenti di crescita individuale erano i riti alimentati più che dalla famiglia d'origine, dall'altra grande famiglia collettiva che era la comunità.
... tutto avveniva nella complicità corale di uno sguardo che non ti lasciava mai solo...
... la sottile ispiratrice di Lorenza è la memoria che tutto giustifica e redime, che restituisce i giusti contorni, appiana, lenisce, placa, spegne e resuscita, sistemando tutte le figurine in uno scenario pacificato ed universale...

... è la parola che salva un paese intero dall'oblio... La parola riaccende un paese intero che non c'è più, meglio ancora del lampionaio che è descritto nel libro.
... riaffermando un valore della poesia come filtro della vita, caro a tutti coloro che sanno quale ponte essa sappia instaurare fra i vivi e morti.



A POMPOSA

I

All' aurora del mondo
subito dopo le prime parole
del Signore - Fiat lux - come un leggero
gioco di foglie che cadono, il dono
dei suoni venne a noi sopra la terra
[...]

II

... E dopo l'ouverture si levò fiamma
delicata, d'argento. E dilatarono
gli occhi le stelle. Il cielo, meraviglia
tersa, parve un altissimo pensiero
fermo sopra di noi. La voce incolume
avvolgeva la terra e la stupiva
adagiandola in riva al suo destino.
Il tempo andava verso la sua foce
lasciando in gola ad ogni filo d'erba
un nodo: Il cuore trasaliva forte,
colmo del pianto chiaro di rugiada
metteva luce tra utopìa e memoria


Questi gli ultimi versi scritti e mai pubblicati, ma il libretto, sul quale sono stati rinvenuti era alle prime pagine


Questo sito è nato il 29 gennaio 2004 per dare continuità a ciò che apparentemente si è interrotto nove anni fa.